Critiche

La fanciulla con la cesta di frutta.
Essere artista o essere opera… questo è il problema

Scritto da Silvia Doria
Categoria principale: Teatro
Categoria: Recensioni
Articolo su laplatea.it
View Comments
Recensione de La fanciulla con la cesta di frutta in scena al teatro Sala Uno dal 4 al 6 dicembre 2015

Questo sabato un gremito pubblico prende posto al teatro Sala Uno, così numeroso che nonostante il largo anticipo con cui ci si possa presentare alle rappresentazioni, si trova qualche difficoltà nel sedersi in prima fila.
Eppure è possibile e a conti fatti ne vale davvero l’impegno.
Lì ad attenderci il primo quadro animato.
Si perchè il tema dello spettacolo sono i dipinti o “i loro autori”? come sottolineano più e più volte durante il corso della messinscena.
Probabilmente lo stesso quesito sorge all’autore del testo drammaturgico, Francesco Colombo, considerando che spesso questa identificazione tra il nome del suo artista e il dipinto è forzata dal modo in cui si è soliti indicarli e quindi “Fanciullo con canestro di frutta in testa” è un Caravaggio e così per qualsiasi altra opera.
Lo stesso però varrebbe per il soggetto che ha ispirato la mano del pittore, così sempre il regista pone l’attenzione sul modello che ha prestato il suo servizio per essere ritratto e quindi la natura dell’opera si fa sempre più controversa.
Il quadro comincia ad avere una moltitudine di potenziali identità: il pittore, il soggetto che lo ha ispirato e quello rappresentato.
Non si tratta però di un trattato in psicologia sui disturbi della personalità che ha in potenza un quadro ma di uno spettacolo scritto e inscenato con sagace ironia.
I dipinti sono i suoi personaggi. Così il sopracitato “Fanciullo con canestro…” è in realtà Marco Celli, lodevole non solo per la resistenza con cui immobile accoglie il pubblico, all’inizio della rappresentazione, ma anche e soprattutto per l’esilarante esasperazione interpretativa con cui veste i panni del doppio Caravaggio/Mario Minniti.
Poi abbiamo Adalgisa Manfrida che interpreta uno dei due angeli in Le Stigmate di Minniti e la prima ballerina per Degas che con energia e leggerezza incarna l’essere femminile manifestando con estrema spontaneità la natura comica delle più intime necessità umane.
E ancora l’altro personaggio femminile interpretato da Grazia Capraro, capace di trasformarsi ora con muta eloquenza nei panni del secondo angelo poi con tragica inquietudine in Ophelia/Elizabeth Siddal, misurando abilmente l’intensità dei movimenti e delle espressioni.
Quindi Michele Ragno negli ambiziosi ruoli di due creatori per antonomasia Gesù e Vincent Van Gogh ma che con straordinaria semplicità appaiono quasi come maschere della Commedia dell’arte, riconoscibili per caratteristiche ed entusiasmanti per il modo grottesco con cui raggiungono il parossismo dei personaggi incarnati.
Non dimentichiamo il regista ed autore e dello spettacolo che con abilità ha studiato i tempi di ciascuno riducendo per la rappresentazione gli spazi d’azione in maniera ritmata e mai assolutistica per ciascuno degli interpreti.
Tutti si muovono e il dibattito intorno al tema risulta incalzante e coinvolgente per lo stesso pubblico che vi prende parte attiva essendo chiamato a rispondere dei quesiti e partecipando in prima persona con gli stessi attori.
Complessivamente ottima prova per attori e autori, soddisfazione per il pubblico ed il teatro che lo ha ospitato.
Solo il quesito iniziale non viene risolto, anzi adesso appare anche accresciuto:
E se l’autore dell’opera fosse anche il pubblico che ne ha apprezzato il risultato?</p

Silvia Doria
6 dicembre 2015

La fanciulla con la cesta di frutta: l’arte di Caravaggio a teatro prende vita

di Eleonora Taddei

Da un’idea di Marco Celli e Francesco Colombo, uno spettacolo brillante e un po’ fuori dal comune
Siamo nella Galleria Borghese, a Roma. Il personaggio raffigurato nel quadro di Caravaggio “Il fanciullo con la canestra di frutta” rompe il silenzio che regna nella sala ed inizia a parlare. Si tratta di Mario Minniti, pittore siciliano usato come modello da Caravaggio, intrappolato per l’eternità nel quadro.
È così che inizia a prendere vita un surreale dialogo tra il fanciullo dipinto e Caravaggio, il suo creatore.
L’atmosfera onirica è farcita di comicità e poesia, di esuberanza e misura al tempo stesso. Ma anche altre opere d’arte prendono vita e partecipano al folle battibecco, che fa esplodere la domanda centrale del testo:
“Chi è l’opera? Chi l’artista?”
Dopo la prima volta in forma ridotta per la rassegna ContaminAzioni, “La fanciulla con il cesto di frutta“ è andata in scena al Teatro Sala Uno in piazza San Giovanni a Roma dal 4 al 6 dicembre. Un’idea di Marco Celli, protagonista, e Francesco Colombo che si è occupato anche della regia. Un Caravaggio in chiave moderna, divertente e brillante un po’ fuori dal comune del “classicismo” del solito teatro. Marco Celli è Mario Minniti nel quadro di Caravaggio che prende vita, che ha dei pensieri, una voce e addirittura mangia frutta. Si parte da Caravaggio passando per l’opera stessa del Minniti che, anch’essa prende vita, all’autoritratto di Van Gogh per arrivare alla Prima ballerina. Giovani attori e nuove idee per uno spettacolo che coinvolge sin dall’inizio per la sua particolarità e le risate che riesce a suscitare nello spettatore, basta un’ora a far scattare quasi dieci minuti di applausi alla sua conclusione.
Accanto a Marco Celli tra gli attori sono presenti Adalgisa Manfrida, Grazia Capraro e Michele Ragno nei panni di un dilettevole Gesù. Uno spettacolo per tutti, per chi è amante dell’arte e per chi vuole divertirsi, per chi si è sempre chiesto cosa ci sia dietro un’opera e per chi vuole assistere ad uno spettacolo di quattro calamitanti attori.
Maggiori info

La fanciulla con la cesta di frutta

by Ludovica Avetrani on 16/12/2015 ·TEATRO
un’idea di Marco Celli e Francesco Colombo
testo e regia di Francesco Colombo
con Grazia Capraro, Marco Celli, Adalgisa Manfrida, Michele Ragno
6 dicembre 2015, Teatro Sala Uno, Roma

In un periodo in cui i siti internet sono letteralmente invasi da contenuti artistici modificati e resi materia comprensibile e condivisibile dalla cultura contemporanea, raggiungendo spesso risultati divertenti – mi riferisco all’esempio del blog Se i quadri potessero parlare ideato da Stefano Guerrera –, il lavoro presentato al Teatro Sala Uno da giovani allievi dell’Accademia Nazionale Silvio d’Amico nel weekend del 4-6 dicembre, può essere coerentemente inserito in questo contesto in modo del tutto ironico. La fanciulla con la cesta di frutta è un lavoro bizzarro e divertente che, nella sua dissonanza con il panorama artistico di stampo drammaturgico attuale, spicca per irriverenza. Un gioco teatrale che sfrutta l’ironia per porre domande che forse uno spettatore non si è mai fatto: cosa succederebbe se un quadro potesse prendere vita? Se potesse parlare, se potesse muoversi? Cosa direbbe? Come agirebbe? Che rapporto esiste tra il modello ed il pittore?
Il pubblico entrando in sala si trova davanti al famoso quadro di Caravaggio Il fanciullo con la cesta di frutta, e quindi già si trova in un contesto più museale che teatrale: Marco Celli, dietro una cornice e nella posa in cui il soggetto del quadro è stato fissato per l’eternità, interpreta questa figura e rompe improvvisamente il silenzio, iniziando dapprima un soliloquio lamentoso sulla propria condizione: è costretto all’eternità come semplice oggetto creato da una mente artista, o essendo lui stesso il soggetto di quell’arte, è in grado di diventare l’artista di se stesso? In sostanza: chi è l’opera? Chi è l’artista? Il soliloquio è rotto da un surreale dialogo che si stabilisce con gli altri quadri presenti nell’esposizione, con ciascuno che asseconda il proprio punto di vista personale, e non può mancare il contributo dello stesso Caravaggio che, intrappolato nella sua stessa opera, perseguita ed è perseguitato dal suo povero modello del fanciullo con il cesto di frutta. Dietro ogni quadro quindi sorge il profondo disagio di coloro che sono stati usati come modelli per rappresentare altro da loro stessi, resi immortali da quelle pennellate celebri, alcuni riconoscenti di questo dono, altri perseguitati invece da quello che vedono come una dannazione.
La domanda che il testo suggerisce, su cosa si possa definire opera e chi artista, è spontanea, soprattutto per dei ragazzi giovani che stanno ancora seguendo il percorso di formazione presso la loro accademia di recitazione, un campo artistico che forse più di tutti porta sempre a chiedersi cosa ci sia di originale nel proprio lavoro che a volte si muove all’interno di un testo già scritto, rappresentato più volte. Forse è proprio il termine recitazione a racchiudere in sé la domanda di chi sia l’artista: ri-citare piuttosto che giocare un testo, questa terminologia rende poca giustizia all’indipendenza dell’arte drammatica.
Un’ottima prova per un gruppo guidato da un giovane regista, Francesco Colombo, e che ci auguriamo non perda mai una verve così indipendente e giocosa, rischiando di entrare nell’atteggiamento molto comune del mondo della re-citazione italiana.
AUTORE
LUDOVICA AVETRANI

06/12/15. AgoraNews

“Chi è l’opera?Chi l’artista?”
Per le risposte a queste domande avete tempo fino al 6 dicembre. Dove? Al Teatro Sala Uno (piazza di porta San Giovanni n.10, Roma).Qui Grazia Capraro, Marco Celli, Adalgisa Manfrida e Michele Ragno, protagonisti talentuosi, vi coinvolgono in una strepitosa pièce ideata da Marco Celli e Francesco Colombo.
Con loro nella splendida cornice di una location unica, Mario Minniti (il modello dipinto da Caravaggio nel quadro che dà il titolo alla commedia), Vincent Van Gogh, la ballerina di Degas, la tela di Fontana e la Gioconda di Leonardo da Vinci.
Che si rubano la scena grazie alla bravura degli attori. Testo profondo ma molto divertente la rappresentazione è abilmente diretta da Francesco Colombo.
Imperdibile!
La Fanciulla con la cesta di frutta è andato in scena per la prima volta nella sua forma ridotta per la rassegna ContaminAzioni, festival di liberi esperimenti teatrali degli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Ha debuttato nella sua forma integrale al Teatro dell’Orologio a settembre 2015.

07/12/15. Noteverticali

Dopo la prima volta in forma ridotta per la rassegna ContaminAzioni, “La fanciulla con il cesto di frutta“ è andata in scena al Teatro Sala Uno in piazza San Giovanni a Roma dal 4 al 6 dicembre. Un’idea di Marco Celli, protagonista, e Francesco Colombo che si è occupato anche della regia. Un Caravaggio in chiave moderna, divertente e brillante un po’ fuori dal comune del “classicismo” del solito teatro.
Marco Celli è Mario Minniti nel quadro di Caravaggio che prende vita, che ha dei pensieri, una voce e addirittura mangia frutta. Si parte da Caravaggio passando per l’opera stessa del Minniti che, anch’essa prende vita, all’autoritratto di Van Gogh per arrivare alla Prima ballerina. Giovani attori e nuove idee per uno spettacolo che coinvolge sin dall’inizio per la sua particolarità e le risate che riesce a suscitare nello spettatore, basta un’ora a far scattare quasi dieci minuti di applausi alla sua conclusione.
Accanto a Marco Celli tra gli attori sono presenti Adalgisa Manfrida, Grazia Capraro e Michele Ragno nei panni di un dilettevole Gesù. Uno spettacolo per tutti, per chi è amante dell’arte e per chi vuole divertirsi, per chi si è sempre chiesto cosa ci sia dietro un’opera e per chi vuole assistere ad uno spettacolo di quattro calamitanti attori.
Eleonora Taddei

16/12/15. Nucleo art – zine

In un periodo in cui i siti internet sono letteralmente invasi da contenuti artistici modificati e resi materia comprensibile e condivisibile dalla cultura contemporanea, raggiungendo spesso risultati divertenti – mi riferisco all’esempio del blog “Se I quadri potessero parlare” ideato da Stefano Guerrera –, il lavoro presentato al Teatro Sala Uno da giovani allievi dell’Accademia Nazionale Silvio d’Amico nel weekend del 4-6 dicembre, può essere coerentemente inserito in questo contesto in modo del tutto ironico. La fanciulla con la cesta di frutta è un lavoro bizzarro e divertente che, nella sua dissonanza con il panorama artistico di stampo drammaturgico attuale, spicca per irriverenza. Un gioco teatrale che sfrutta l’ironia per porre domande che forse uno spettatore non si è mai fatto: cosa succederebbe se un quadro potesse prendere vita?
Se potesse parlare, se potesse muoversi? Cosa direbbe? Come agirebbe?
Che rapporto esiste tra il modello ed il pittore?
Il pubblico entrando in sala si trova davanti al famoso quadro di Caravaggio Il fanciullo con la cesta di frutta, e quindi già si trova in un contesto più museale che teatrale: Marco
Celli, dietro una cornice e nella posa in cui il soggetto del quadro è stato fissato per l’eternità, interpreta questa figura e rompe improvvisamente il silenzio, iniziando dapprima un soliloquio lamentoso sulla propria condizione: è costretto all’eternità come semplice oggetto creato da una mente artista, o essendo lui stesso il soggetto di quell’arte, è in grado di diventare l’artista di se stesso? In sostanza: chi è l’opera? Chi è l’artista? Il soliloquio è rotto da un surreale dialogo che si stabilisce con gli altri quadri presenti nell’esposizione, con ciascuno che asseconda il proprio punto di vista personale, e non può mancare il contributo dello stesso Caravaggio che, intrappolato nella sua stessa opera, perseguita ed è perseguitato dal suo povero modello del fanciullo con il cesto di frutta. Dietro ogni quadro quindi sorge il profondo disagio di coloro che sono stati usati come modelli per rappresentare altro da loro stessi, resi immortali da quelle pennellate celebri, alcuni riconoscenti di questo dono, altri perseguitati invece da quello che vedono come una dannazione.
La domanda che il testo suggerisce, su cosa si possa definire opera e chi artista, è spontanea, soprattutto per dei ragazzi giovani che stanno ancora seguendo il percorso di formazione presso la loro accademia di recitazione, un campo artistico che forse più di tutti porta sempre a chiedersi cosa ci sia di originale nel proprio lavoro che a volte si muove all’interno di un testo già scritto, rappresentato più volte. Forse è proprio il termine recitazione a racchiudere in sé la domanda di chi sia l’artista: ri-citare piuttosto che giocare un testo, questa terminologia rende poca giustizia all’indipendenza dell’arte drammatica.
Un’ottima prova per un gruppo guidato da un giovane regista, Francesco Colombo, e che ci auguriamo non perda mai una verve così indipendente e giocosa, rischiando di entrare nell’atteggiamento molto comune del mondo della re-citazione italiana.
Ludovica Avetrani

03/06/16. Miriamelearti

Nell’ambito dell festival Dominio Pubblico- la città degli Under 25, è andato in scena ieri al Teatro dell’Orologio LA FANCIULLA CON LA CESTA DI FRUTTA di Francesco Colombo con Grazia Capraro, Marco Celli, Adalgisa Manfrida, e Michele Ragno.
L’idea geniale è quella di dar voce a chi non l’ha mai avuta, a chi è chiuso in una galleria, in una chiesa, o in qualche casa privata, e non solo non può parlare, ma oltretutto è costretto ad ascoltare le voci altrui, tra turisti e guide e straziarsi con il silenzio notturno…i protagonisti dei quadri famosi. Ad aprire un Mario Minniti (Marco Celli) stanco di essere conosciuto solo attraverso Caravaggio, e di essere descritto dalle guide come il probabile amante…”Si vede dalla spalla nuda” del celebre pittore lombardo.
L’arrivo delle sue “creature” . Gesù che mostra le stimmate e due angeli del Minniti stesso, pala d’altare conservata nella chiesa di S.Antonio ad Agira in provincia di Enna, dà il via ad un rocambolesco processo di liberazione di ciascun personaggio dal giogo paterno/autoriale. Il registro cambia quando entrano in scena un autoritratto e una ballerina, lei è assolutamente felice di essere stata immortalata da Degas, che le ha così regalato una giovinezza senza fine. Lui…l’autoritratto, vuole sentire di nuovo l’emozione di avere un pennello e una tavolozza tra le mani, il suo genio assoluto si è potuto esprimere solamente per una decina di anni, tanto da lasciarlo insoddisfatto, insofferente, in altre parole pazzo, e poi Elisabeth Siddal la musa ispiratrice dei Preraffaelliti, ma anche modella di Millais per l’Ofelia, che scambia Van Gogh per Amleto, pazzo per pazzo, e gli inveisce contro. Creazioni e creatori, personaggi reali e di fantasia, chi è più importante? a mettere a tacere tutti arriva Monna Lisa, ma che non discute con Leonardo, perchè tra il capolavoro e il proprio creatore non c’è discussione
ma unione. lo spettacolo è davvero molto divertente, sarcastico al punto giusto, senza diventare pensante, si ride e si riflette: due attività importanti nella vita.
Miriam Comito

04/06/16. Recensito

Edward Munch diceva «non si possono dipingere eternamente donne che cuciono e degli uomini che leggono; io voglio rappresentare degli esseri che respirano, sentono, amano e soffrono». Ma la tela in questo modo diventa forse una condanna? Se il pittore ritrae il suo soggetto mentre mangia, egli mangerà per sempre, se lo dipinge mentre muore, morirà per sempre: la sua anima insomma, sarà per sempre destinata a quel sentimento che il creatore ha deciso di fissare sulla tela.
Da questo concetto del “perpetuo”, di qualcosa che dura “eternamente” e che un po’ turba la mente dell’uomo chiusa nell’idea di limite, nasce uno spettacolo che invece vuole proprio giocare con il senso di qualcosa che dura in eterno, sempre uguale a se stessa, immobile e immutabile.
Divertente, piacevole e spassoso è lo spettacolo “La fanciulla con la cesta di frutta”, il progetto nato da un’idea di Marco Celli e Francesco Colombo andato in scena per la prima volta a “ContaminAzioni”, il festival autogestito dagli allievi dell’Accademia Nazionale “Silvio D’Amico” e riproposto giovedì 2 giugno al Teatro dell’Orologio di Roma per “Dominio Pubblico”.
L’idea dello spettacolo parte da una domanda: chi vive oltre la pennellata fissa del pittore, l’anima del soggetto rappresentato o quella del suo stesso creatore? Quelle figure che se ne stanno appese alla parete della Galleria Borghese, in realtà pensano, parlano, ridono e prendono in giro guide giapponesi che riportano ai visitatori nozioni precise imparate a memoria sui libri di storia dell’arte. Il problema è che il pittore li ha fissati eternamente nel quadro con tutto quello che hanno provato quando erano uomini vivi, corpi in carne ed ossa in grado di provare fisicamente ogni tipo di sensazione. Solo quando si spengono le luci di quel luogo-custode di un tempo fuori dal tempo, i soggetti dei quadri si animano e prendono vita confessando i più nascosti desideri, le più bizzarre nostalgie, le più eccentriche e stravaganti intenzioni che hanno il tono di un sogno che sfocia già in utopia.
Grazia Capraro, Adalgisa Manfrida, Michele Ragno e lo stesso Marco Celli sono i volti, così fedelmente realistici, dei soggetti raffigurati nei quadri.
Mario Minniti è quel “Fanciullo con canestro di frutta” che Caravaggio dipinse nel 1593, è l’uomo che si sdoppia tra l’anima del creatore e la creazione; dialoga con il suo alter ego, in una forma di spiritosa ironia per cercare di comprendere se il padre dell’opera non si conservi in realtà nel suo stesso lavoro. Ma c’è in realtà chi è lusingato dal poter essere l’immortale immagine della tela: è una ballerina a cui Degas ha regalato la possibilità di stare eternamente in scena, senza che il tempo appassisca mai la sua giovinezza, come una luce perpetua sul palcoscenico.
Ma cosa passa invece nella mente di un soggetto che però è l’autoritratto del suo stesso creatore? Forse il pensiero più autentico di chi l’ha dipinto, quelle caratterizzanti sfaccettature di un altro-io, quelle parole in prima persona ma fuori da sé. E sicuramente Van Gogh, in questo senso, è veramente il personaggio più riuscito dell’intera rappresentazione. Michele Ragno interpreta il ruolo di un pittore tanto eccentrico e geniale insieme, ne restituisce un’immagine che diverte perché è in grado giocare in maniera originale, con quella connotante e acutissima follia. Delizioso è anche il momento in cui esce dal quadro per riprendere in mano il pennello e dipingere quel nuovo modello che ha di fronte: un pubblico che ride e si diverte davanti alla rappresentazione, un autentico “quadro” di scena. Il problema dell’identificazione tra artista e opera si pone però quando al centro della tela non ci sono più soggetti ripresi dalla realtà, ma immagini astratte. Il taglio di Fontana, ad esempio, non può avere insita la sua anima …o forse sì? Sarà solo l’arrivo della Gioconda che metterà a tacere le infinite domande che si accumulano, senza vera risposta, nella mente dei protagonisti di questi dipinti. «Questa faccenda dei quadri» diceva Alessandro Baricco « m’ha sempre colpito. Se ne
stanno su per anni […] stanno lì, attaccati al chiodo. Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola», e in effetti…chissà quanto devono annoiarsi quei soggetti a sentire sempre le stesse storie, in quella stessa posizione che li accompagnerà per un “per sempre” indefinito.
È bello pensare però che quelle figure non siano solo immagini ideali, ma reali personaggi in grado di provare le sensazioni che Celli e Colombo, in maniera originale, gli hanno così abilmente, dipinto addosso.
Laura Sciortino

07/09/16. La fanciulla con la cesta di frutta – Villa Ada, Roma – Fringe Festival 2016 (Roma)

Controversa questione: chi è l’artista? Il pittore o il soggetto che ha ispirato l’opera? E cosa succederebbe se a chiarire il dubbio sul rapporto tra modello e pittore provassero i quadri stessi, improvvisamente animati? E’ il vivace ed originale spunto da cui prende vita “La fanciulla con la cesta di frutta”, spettacolo di Marco Celli e Francesco Colombo.
Un gioco teatrale, un racconto d’arte in chiave moderna ottimamente interpretato dai giovani attori dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”.
Scena: una sala del Museo Borghese, davanti alla celebre tela di Caravaggio. Visitatori che vanno e vengono, flash di macchine fotografiche, chiacchiericcio. Poi l’ora di chiusura, il giro di controllo del sorvegliante, il silenzio. Ecco allora, la più classica fantasia bambinesca – come nella favola dello Schiaccianoci con i giocattoli che di notte si animano, come nella saga di Harry Potter in cui i soggetti dei quadri si spostano da una tela all’altra: cosa farebbe un quadro se prendesse vita?
Nel silenzio del museo, proprio il fanciullo con la canestra di frutta inizia a muoversi nella sua cornice dorata e a parlare. “Nessuno mi conosce, nessuno sa chi sono, nessuno si ricorda di me”, inizia così il monologo del fanciullo. E’ il siciliano Marco Minniti, scelto come modello da Caravaggio e pittore lui stesso. Il suo è un lamento sulla triste condizione che lo vede imprigionato in una cornice per l’eternità. Da qui ha inizio il curioso e fantasioso esperimento proposto da Marco Celli e Francesco Colombo nel loro “La fanciulla con la cesta di frutta”, piacevole scoperta all’interno della variegata quinta edizione del Roma Fringe Festival 2016.
E la domanda centrale del testo arriva subito: se il modello ritratto nell’opera è il soggetto dell’arte, allora non è proprio egli stesso Arte? E quindi, chi è l’opera? Chi è l’artista? Il soliloquio diventa presto un surreale dialogo tra il fanciullo dipinto e il suo creatore (entrambi interpretati da Marco Celli), due voci che si sovrappongono, due anime, Caravaggio e Minniti, che condividono la stessa cornice e lo stesso eterno destino. Presto i ruoli si invertono e il Minniti ritratto da Caravaggio lascia il posto al Minniti pittore quando, come in un gioco di scatole cinesi, entra in scena un Gesù stravagante e sopra le righe accompagnato da un angelo desideroso di far peccato e da uno senza parole. Sono le tre creature di Minniti, i protagonisti del suo dipinto “Le Stigmate”.
Ad animare la scena/spazio espositivo arriveranno presto anche l’autoritratto di Van Gogh, una ballerina di Degas, un taglio di Fontana e Monna Lisa. Ognuno con dubbi e domande irrisolte sulla sua situazione e un punto di vista personalissimo sulla questione, chi perseguitato dalla vita eterna in una tela, chi rappresentato diverso da com’è, chi al di sopra della questione (perché nell’autoritratto pittore e modello coincidono!), chi grato – come la ballerina che vuol solo, sempre, ballare. Tutti consegnati alla fama da quelle pennellate.
In uno spazio d’azione ridotto, i quattro giovani attori dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico” sono bravi soprattutto per mimica facciale e gestualità.
Marco Celli, a lungo immobile e perfetto nella postura del fanciullo, si fa apprezzare nel concitato doppio confronto Caravaggio/Minniti; Adalgisa Manfrida è l’angelo smanioso e passionale e poi la romantica, comica, fanciullesca ballerina di Degas; Grazia Capraro passa dall’angelo che si esprime a gesti ad un’inquieta Ophelia-Elizabeth Siddal; Michele Ragno, infine, sa ben esasperare gli aspetti caricaturali nei ruoli di Gesù e di Vincent Van Gogh rendendoli divertentissimi.
“La fanciulla con la cesta di frutta” è uno spettacolo giovane, fresco nella sua semplicità.
Prende ritmo minuto dopo minuto, abbatte la barriera tra attori e pubblico e mantiene la verve fino al finale, riservato ad una Gioconda altera e lapidaria. E’ un gioco teatrale, un racconto d’arte in forma moderna.
Andato in scena per la prima volta nella sua forma ridotta per la rassegna ContaminAzioni, festival di esperimenti teatrali degli allievi dell’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, lo spettacolo ha poi debuttato in forma integrale al Teatro dell’Orologio a settembre 2015.
Michela Staderini

Periodico Italiano Magazine – Roma Fringe Festival 2016

Divertente, ironico, istrionico, dissacrante, imprevedibile, geniale. Questa è solo una parziale selezione di alcuni degli aggettivi che hanno accompagnato e fatto seguito alla visione de ‘La fanciulla con la cesta di frutta’, per la regia di Francesco Colombo, con Grazia Capraro, Marco Celli, Adalgisa Manfrida e Michele Ragno. La vicenda si svolge nella Galleria Borghese di Roma e ha per protagonista Mario Minniti, il modello che ha ispirato Caravaggio nella realizzazione del capolavoro ‘Fanciullo con cesto di frutta’. Ora, immaginate di essere nella galleria, circondati dai quadri e da opere d’arte millenarie che se ne stanno lì, immobili e immutabili, a ricambiare il vostro sguardo: e se le opere prendessero improvvisamente vita davanti a voi come nel film ‘Una notte al museo’? E se iniziassero a muoversi, a parlare, a raccontare la loro vita e tutti i retroscena dell’opera stessa? Questo è quello che avviene nella ‘Galleria Borghese’ di notte, quando Mario Minniti si sveglia dal suo torpore prendendosela con il suo creatore, Caravaggio, il cui spirito è imprigionato nell’opera. Motivo del dibattito: se lui, il modello dell’opera, è il soggetto dell’arte, allora non è proprio egli stesso l’arte? E quindi: chi è l’opera? Chi è l’artista? Chi ammira il fanciullo, apprezza il genio dell’artista? O è l’opera d’arte stessa a essere l’artista? Che senso ha esser stato ritratto e immortalato? E come mai la gente che ammira il quadro non riesce a capire se il modello sia effettivamente un fanciullo o una fanciulla? Al dibattito si uniscono altre opere: il Cristo con gli angeli protagonisti de ‘Le stigmate’, opera seicentesca dello stesso Minniti, che interrogano il loro ‘padre’ sulla natura dell’esistenza. In particolare, Gesù Cristo è simpaticamente confuso su cui sia il suo vero padre: Dio o Minniti? Si aggiungono alla discussione il Van Gogh del celebre
‘Autoritratto’, insieme alla ‘Prima ballerina’ ritratta da Degas, alla ‘Ophelia’ di Millais e alla lapidaria e austera ‘Monna Lisa’ di Leonardo. Ogni opera si interroga sul proprio ruolo in un modi inaspettati e spassosi. Impossibile non perdersi nel surreale vortice di battute e riflessioni al limite dell’assurdo. Lo spettacolo è solidamente realizzato e magnificamente interpretato. Il ritmo è incalzante e porta a un finale che ‘chiosa’ perfettamente il messaggio nascosto nel divertimento della rappresentazione: che cos’è l’arte? L’unico modo in cui potrete trovare la risposta a questa domanda è guardare lo spettacolo e lasciarvi trascinare nel suo vortice irresistibile di divertimento. Molto bravi.
Giorgio Morino

Brainstormingculturale – Roma Fringe Festival 2016

La fanciulla con la cesta di frutta, il dramma comico dell’opera e dell’artista
Spettacolo finalista, insieme a Rukeli, dell’edizione settembrina del Roma Fringe Festival 2016, sarà sul palco del Teatro Quirinetta (Roma) il 27 settembre, per la chiusura della rassegna stessa. Un tocco giocoso che riguarda l’arte: ascolta quello che pensano i quadri, gli autori e chi è ritratto La fanciulla con la cesta di frutta, con Grazia Capraro, Marco Celli, Adalgisa Manfrida e Michele Ragno, per la regia di Francesco Colombo, riserva un tocco di originalità e genialità che genera sul pubblico stupore e divertimento.
Immaginiamo una notte al museo: la fissità silenziosa delle opere d’arte e il rumore proveniente dai lenti sospiri annoiati del custode di turno regnano sovrani nella sala addormentata. Così pare, almeno.
Immaginiamo, ora, la Galleria Borghese di Roma in tutto il suo fascino monumentale e al centro un fanciullo incorniciato e immobile col suo cesto di frutta in mano, illuminato solo dalle luci di cortesia di un luogo ormai chiuso al pubblico. È Mario Minniti ritratto dal maestro Caravaggio in quel suo dipinto dal titolo Fanciullo con canestro di frutta.
Cosa sente un quadro? Che direbbe se potesse parlare? Apostroferebbe malamente la guida boriosa e saccente che ogni giorno sfoggia la sua presunta conoscenza di questa o quell’opera d’arte?
Il nostro Mario Minniti, interpretato da un espressivo Marco Celli, conosce ormai l’inganno della guida e dello studioso d’arte che tutto pretende di sapere tranne la reale verità: cosa veramente sia l’opera e chi sia lo stesso artista.
Dalla domanda esistenziale per eccellenza “Chi sono?” inizia una kermesse di quadri, personaggi e artisti che, capeggiati da Minniti, cercano di comprendere il labile confine che si situa fra l’opera e il suo artista. Può l’opera stessa essere considerata l’artista nel momento del suo compimento?
Vediamo, dunque, alcuni quadri animarsi. Dello stesso Minniti i protagonisti de Le stigmate (il Cristo con gli angeli); l’Autoritratto di Van Gogh; la Prima ballerina di Degas;
Ophelia di Millais; infine la Gioconda di Leonardo da Vinci.
Sagacia e inventiva diventano un tutt’uno con la recitazione. Un’esaltazione dell’arte viene così valorizzata da un gioco di quesiti e trasmessa dal desiderio di essere rappresentati per rimanere sempre sulla scena e immortalati nella bellezza.
L’eternità di una figura dipinta e incorniciata nella tela, in un certo senso, fissa l’anima di tale figura rendendo imperitura la creatura, ma rende immortale anche il soffio artistico
del suo creatore. È quello che succede a Minniti stesso che tenta in tutti i modi di scacciare dalla sua tela e dalla sua persona la presenza dell’ingombrante Caravaggio con cui non intende affatto dividere lo status di protagonista.
Pensiero di Minniti-Celli è che l’opera sia l’artista. È solo nel prodotto che c’è arte e realizzazione, il creatore è solo un tramite per il vero artista che si cela in questo o quel
quadro.
Buonissimi i tempi comici dei quattro giovani protagonisti che nello spazio mobile del palco di Villa Ada regalano risate e un po’ di poesia. Lo spettacolo – che ricordiamo è in finale il prossimo 27 settembre al Teatro Quirinetta – è fresco, dinamico, ma al contempo ricco di spunti riflessivi legati anche alle polemiche comuni riguardanti l’arte, nello specifico quella contemporanea, che si inerisce nell’insieme di opere citate grazie al famoso Taglio di Fontana.
Non c’è creatura divina o umana ritratta, allora come riferirsi a questa tela? Dov’è qui l’artista?
Domande esistenziali, pulsioni umane in corpi divini e desideri sono indotti dal personaggio che si crede di dover rivestire. Difficile destreggiarsi all’interno e giungere, per le stesse opere, a una conclusione circa il loro essere, ma di certo si rimane incantati dall’eloquente verbalità e sfondo filosofico che la performance ci invita a seguire.
Una rappresentazione degna di nota, la quale non passerà di certo inosservata sia per l’idea che esprime – la caratterizzazione dall’inanimato all’animato – sia per la forte energia, la quale denota una forte espressione artistica che i giovani attori comunicano in modo gioviale e senza sovrastrutture.
Gertrude Cestiè