Fin da ragazzo, visitando i musei, rimanevo incantato di fronte alle grandi opere dei Maestri. Mi soffermavo a lungo ad ammirarle e immaginavo che mi parlassero. Pensavo a quanto sarebbe stato bello visitare un museo di notte, da solo, in un silenzio spaventoso, senza i gruppi di turisti che rumoreggiano e scattano fotografie di soppiatto.
Poi tornavo a casa, e nella mia cameretta continuavo a fantasticare sui quadri. Mi chiedevo quale fosse il rapporto tra i modelli rappresentati nelle opere e l’artista.
Poi ho scoperto che ne Il fanciullo con la cesta di frutta di Caravaggio il modello, Mario Minniti, era a sua volta pittore, nonché (si dice) suo amante.
Ho provato allora a immaginare quali sentimenti albergherebbero dentro i personaggi dei quadri, se potessero prendere vita.
Quanta invidia deve provare Mario Minniti nel vedere migliaia di persone che si fermano a guardare il quadro che lo incornicia per sempre e sentire parlare i visitatori solamente della grandezza di Caravaggio? Cosa proverebbe ad essere ricordato innanzitutto come modello, al limite come possibile amante, e non come artista?
“La gente vede me, quindi sono io l’opera d’arte e quindi l’artista!” forse direbbe…
Ma quando Mario Minniti, il pittore, si trova a sua volta davanti a una delle proprie opere, il suo punto di vista cambia? L’artista è l’opera o chi viene raffigurato?
Va da sé poi che un autoritratto non ha questo dilemma, o che la ballerina di Degas è felice di essere stata immortalata per l’eternità nella sua posa. Che i modelli si fanno la guerra rispetto ai vari periodi artistici.
“La fanciulla con la cesta di frutta” è la rappresentazione di ambiguità sessuali, di demoni beffardi e camaleontici, di misteri e innocenze avviluppate insieme. Il museo, libero dal fragore del giorno, è la rosa delle sfumature di un mondo eterno e sfuggente che sprigiona una esuberante poesia notturna.
Per mettere in scena questo allegro frastuono, il lavoro con gli attori ha richiesto da parte di tutti un particolare impegno. Sono molto esigente e chiedo loro la cosa più difficile: la libertà.
Siamo partiti dalle improvvisazioni per arrivare al testo. A quel punto gli attori avevano già la carne dei personaggi: bisognava solo vestirli con le battute.